IMPRESSIONI

Visioni fuggitive messe per iscritto, di tanto in tanto...

domenica 6 dicembre 2009

Pensieri di Albert Schweitzer

Mi hanno portato quattro poveri piccoli di pellicano a cui uomini insensibili hanno malamente tagliato le ali, per cui non possono volare. Ci vorranno due o tre mesi perchè ricrescano le ali ed essi possano vivere in libertà. Ho incaricato un pescatore di procurare la quantità di pesce necessaria al loro nutrimento. Ogni volta provo pena nell'anima per i poveri pesci. Ma ho solo una scelta: o uccidere i pellicani che sarebbero esposti alla morte per fame, o uccidere i pesci. Se io sia nel giusto a decidere a favore degli uni anzichè degli altri, non so. (Lettera)


L'ultima caccia

(The Last Hunt, 1956) di Richard Brooks - con Stewart Granger, Robert Taylor, Debra Paget, Lloyd Nolan, Russ Tamblyn

(contiene SPOILERS )

Le profezie (dettate dall'esperienza) del vecchio Gamba Matta (Lloyd Nolan) aleggiano su tutti gli avvenimenti che caratterizzano questo film straordinario, a mio avviso una delle vette supreme del cinema western. Sono sufficienti due parole per caratterizzare ciascun personaggio, nessun dilungamento noioso e inutile. Cosi' esordisce Charlie (Robert Taylor) al suo primo incontro col famoso ex cacciatore di bisonti Tony Mackenzie (Stewart Granger):

"Che bestie idiote, i bisonti!"

Già dalle prime battute fra i due si capisce la natura del rapporto, che viene sviluppato con coerenza straordinaria nel prosieguo.
Charlie convince Mackenzie a tornare a cacciare bisonti, e prende nel gruppo il vecchio scuoiatore di fiducia di Mackenzie Gamba Matta, che comincia con la prima profezia

"Hai mai visto un cacciatore reso pazzo dai fantasmi? E' da vedersi. Gli piglia a tutti un giorno o l'altro, e li divora dentro. Senza dargli pace. Sembrano invasati. Uccidono fino a perdere la ragione...una notte, poi, si svegliano e sentono il boato di migliaia di bisonti in fuga. Li sentono e li vedono dove non ce n'è neanche l'ombra. Pazzia, figliolo! E premono il grilletto senza fermarsi".

Sempre Gamba Matta, cosi' descrive Charlie all'indiano Russ Tamblyn, anche lui della spedizione:

"Gli indiani mangiano senza forchetta, come Charlie! Gli indiani trattano male le donne, come Charlie! Gli indiani si soffiano il naso come lui, con le dita! Dicono che Charlie odia sè stesso,ragion per cui odia anche gli indiani".

Niente riesce a salvare Charlie dal suo destino di disperato isolamento; Tony, in una scena straordinaria, gli getta addosso una coperta come farebbe un padre. E perfino nel finale, ha intenzione di offrirgli protezione dal freddo spietato del Dakota. Il freddo, per Charlie, è anche esistenziale, ed è la coscienza del suo stato sfortunato da parte di Tony che rende il film cosi' straordinario. Per Brooks, Charlie è gelato nel suo isolamento, non esiste un cattivo per questo geniale regista. Charlie è il risultato dell'odio che nutre per sè stesso, la sua difesa è l'attacco, per lui

"tutto è un affronto personale. Perfino Gamba Matta e me ci credi ostili. Ma non è cosi'!"

come gli dice Tony in un'altra scena memorabile. Non è forse all'inferno, un uomo simile? E quando prega il ragazzo che ha appena pestato di non abbandonarlo, è addirittura straziante. Muore nel suo delirio, come aveva previsto Gamba Matta, e nel freddo spietato del Dakota, come aveva nuovamente previsto Gamba Matta.
Il finale di questo western è davvero unico, e la cosa più sorprendente è la coerenza della fine di Charlie col suo stato esistenziale. Muore da solo, perfino li' combatte coi fantasmi, ucciso dal freddo. E rimane la sua "statua" di ghiaccio, con la pistola fissa fra le sue mani rattrappite e puntata contro il mondo, a testimoniare i fatti.
Rendere tutto questo in una sintesi coerente ed armonica - lo stato esistenziale di Charlie, le profezie del vecchio, l'odio contrastato dal sentimento paterno che prova Tony, l'aleggiare del gran feticcio indiano, il freddo esteriore ed interiore - è a mio avviso impresa colossale. Perfino il tema razziale - presente e magnificamente trattato - sembra piccolo di fronte a questa tragedia umana, non quella di Charlie, ma quella di tutti i Charlie che come lui vivono all'inferno. Grande, straordinario film, disincantato ed allo stesso tempo incantato - ecco un altro miracolo: continuare a vedere l'incanto con occhio disincantato (e il disincanto consiste appunto nel vedere che persone come Charlie non vedono l'incanto) - triste e veritiero come il tema musicale puntato che si ode talvolta, come se quel tema fosse una rivelazione di qualche verità che appare fugacemente a noi poveri umani, suonato dalla fisarmonica del vecchio.


Robert Taylor e Stewart Granger in una scena del film.

sabato 5 dicembre 2009

Il giardino delle streghe (1944)



(Curse of the Cat People, 1944)

Un film meraviglioso, una fiaba immersa in un'atmosfera da sogno.
La solitudine e la disperazione di una bambina solitaria (Amy) ed evitata dalle amiche, a causa delle sue stranezze, pervade tutto il racconto. Anche se dichiaratamente è una bambina strana, in realtà è il personaggio più vero ed autentico del film, nessuno raggiunge la sua statura interiore. Gli altri bambini non posseggono la sua innocenza, sono già sulla strada della perdita dei sogni: cominciano ad essere furbetti, apprendono come si fa ad essere socialmente accettati. Sono già, di fatto, delle piccole iene. Lei invece crede davvero che il buco su un albero sia la buca delle lettere, perchè così le ha detto il padre. E' questa sua fede, questa sua innocenza, che le permettono di avere uno sguardo laddove nessun'altro riesce a vedere.
In un certo senso, questa bambina non è sola, la solitudine è il requisito senza il quale non potrebbe avere la compagnia di Irena (Simone Simon), nè lo sguardo puro che le permette di vedere la realtà della realtà.
Esiste, nel film, una vicenda analoga di isolamento che corre su un binario parallelo: Barbara, la figlia di una vecchia attrice, disconosciuta dalla madre ("Non hai aperto il mio regalo, e sono tua figlia!" rimprovera alla madre che aveva invece aperto, suscitando la gelosia di Barbara, quello di Amy, e lei risponde: "Mia figlia è morta, ed io non ne ho altre!") nello stesso modo in cui la bambina è depredata del suo spazio vitale da un padre incapace di capirla. In definitiva, nel film si narra di due persone isolate, delle quali la più disperata è la figlia dell'attrice, ormai gelata e paralizzata nella sua non-esistenza definita dalla madre, mentre la bambina dimostra risorse tali (Irena le appare per davvero oppure è soltanto una sua creazione che le rende tollerabile la solitudine?) da non aver perso il calore umano necessario per vivere. In una delle scene più toccanti del film, Irena cosi' parla a Amy :"Lo sai perchè sono venuta, Amy?, perchè sono diventata tua amica? Perchè mi hai chiamata, ed è stata la tua solitudine a risvegliarmi. Ora devo andarmene" ed Amy piange: "Io non voglio che tu vada via..." ma Irena svanisce, ed ora Amy dovrà affrontare la sua solitudine. Disperata, esce di nascosto, di notte, invocando Irina, e nella tempesta che infuria finisce nella casa di Barbara, che continua a chiedere alla madre il permesso di esistere, ma questa insiste "La mia Barbara fu uccisa!" e lei "Guardami negli occhi: di' che sono Barbara!" e ancora la replica: "Questa è una menzogna, e tu lo sai: sei una povera donna senza nome e non la mia Barbara!".
La gelosia nei confronti dell'interesse che la vecchia prova per Amy le fa dichiarare di voler uccidere la bambina nel caso si ripresentasse.
Amy arriva alla casa poco dopo e trova la vecchia da sola, che muore nello sforzo di tentare di nasconderla ai propositi omicidi della figlia, mentre tenta di percorrere una rampa di scale. Ed è proprio in questo momento che Barbara le scopre, le luci si spengono a causa della tempesta. Osserva il cadavere della madre ed esclama "Anche gli ultimi istanti di mia madre sei riuscita a rubarmi! Vieni qui! Vieni qui!" ordina dal fondo delle scale, e per Amy la paura è totale. Si lascia andare alla disperazione e invoca: "Papà! Papà!" e poi "Amica mia! Amica mia!" ed Irena ritorna in sovraimpressione su Barbara. Amy scende le scale ed abbraccia Barbara/Irena/Amica mia, che sta per stringerle le mani intorno al collo, e sussurra ancora: "Amica mia!" e allora le mani di Barbara si ammorbidiscono e abbraccia Amy a sua volta, mentre lo stesso alito di vento che aveva fatto spegnere le luci ora le riaccende: Barbara ritorna tra i vivi, come amica della piccola Amy. In questo momento, avviene la confluenza delle due storie: tramite la solitudine della bambina, guarisce la solitudine di Barbara.
L'ultima volta che ho visto questo capolavoro straordinario, fu a casa di amici, e il dibattito che ne segui' fu interessante: secondo una amica, Irena era la semplice invenzione di una bambina sola per mantenere la salute mentale, ma secondo me, pur essendo valida questa tesi, credo non tenga conto dell'ambiguità del racconto. Amy non sceglie come compagna una persona qualsiasi, ma proprio la Irena del film precedente, e dell'esistenza della quale non è a conoscenza. Per cui propenderei a dire che non sia tanto una invenzione, quanto la materializzazione di una preghiera, cioè Irena comparirebbe davvero a Amy, una evocazione da parte di uno spirito puro e potente, una forza interiore che riesce a piegare a sè stessa perfino la sorte avversa dell'isolamento. La statura di questa bambina meravigliosa è addirittura mistica.
In un certo senso questo film é perfino superiore, o almeno sicuramente all'altezza del suo predecessore, Il bacio della pantera.
L'edizione italiana ha inserito, al posto del commento musicale originale, l'introduzione della Sinfonia in DO D.944 di Schubert, con le sue armonie cosi' profondamente religiose. Tuttavia, la versione originale permette un accumulo della tensione che non credo possibile vedendo la versione italiana.

Neve rossa

(On Dangerous Ground, 1951) di Nicholas Ray . con Robert Ryan, Ida Lupino, Ward Bond

 La vita è dura per i poliziotti di una città grande come New York, e non tutti riescono a reggere e a mantenersi nei ranghi: è il caso di Jim Wilson (Robert Ryan) che sviluppa metodi brutali nei confronti dei fuorilegge. Dopo alcuni richiami verbali, Wilson rischia la denuncia, ed il suo capo si trova costretto ad affidargli un caso lontano dalla metropoli. Viene trasferito momentaneamente, il tempo di far calmare le acque, in una piccola località di montagna, dove è appena stata uccisa una ragazza e l'assassino si trova ancora in zona. Il padre di lei (Ward Bond) è deciso a farsi giustizia da sè, ed avvisa Wilson che nessuno lo può fermare. Si scatena cosi' una caccia all'uomo che porta i due inseguitori fino alla casa di Mary (Ida Lupino), una ragazza che abita da sola, almeno stando a quel che dice: ma in casa si trovano le prove evidenti del fatto che qualcun altro vive con lei, del quale la giovane sembra non voler parlare, mentre la furia del padre della vittima, desideroso di vendicarsi, aumenta sempre più.....

Neve Rossa continua a sembrarmi un film di primo rango, ben girato ed interpretato, sebbene la prima parte stenti un pò ad ingranare. Tutta la prima mezz'ora del film è dedicata al ritratto della vita newyorkese, ed al delineamento del carattere del personaggio di Ryan. D'altra parte, non era pensabile fare diversamente, perchè è proprio il carattere di Jim Wilson e l'effetto che i nuovi avvenimenti avranno su di lui, uno dei fattori decisivi. Anzi, quando si pensa a quanto accade nella prima mezz'ora, ci si accorge della sua importanza. In questa località sperduta, innevata, Wilson si troverà di fronte alla sua parte violenta rappresentata da Brent, e dovrà lui stesso opporsi ai suoi antichi metodi. L'incontro con Mary si rivelerà il più importante della sua vita, senza volere si trova davanti anche un'altra sua parte, rappresentata da lei: quella che la violenza gli stava facendo dimenticare. Mary è cieca, e per la prima volta Ryan entra in contatto vero con la verità di un'altra persona. Non gli era mai accaduto prima, tutto lo schiacciava, gli distruggeva la personalità. Ma è Mary che gli pone delle domande vere, che lo riguardano, con lei non esiste finzione, la sua solitudine finisce in quel momento esatto. Il dialogo fra i due è magnifico:

Mary: Lei si sentirebbe solo se vivesse in un posto come questo?
Jim: Si', credo proprio di si'.
Mary: Si può essere soli anche in città. Anzi, le persone che non stanno mai sole sono le più sole. Non lo crede anche lei?
Jim: Non lo so, non ci ho mai pensato.
Mary: No, non è vero. La maggior parte della gente sola cerca prima o poi, di capire che cos'è la solitudine.
Jim: E lei pensa che io sia una persona sola?

La ragazza arriva subito al sodo, e l'uomo, senza neppure accorgersene, comincia a parlare, dimentico di ogni altra cosa.
Ripensando all'inizio del film, ci si ricorda ora del fatto che Ryan aveva sempre fatto il duro anche con le ragazze che lo trovavano attraente: erano loro stesse a farlo rispondere cosi', proprio il loro atteggiamento seduttivo. In Mary questo atteggiamento non esiste, non c'è falsità. Quelle ragazze, come la maggior parte degli uomini, erano li' a cercare di dimenticare la propria solitudine. Ecco perchè si và in discoteca, al bar...con la segreta speranza di vincere la solitudine, ma non c'è verso, perchè in realtà la stiamo negando, e questa negazione origina dei mostri. Non si può negare la verità della vita, ed una ragazza che tenta di attirare le attenzioni di un ragazzo con la seduzione, in realtà la stà negando. E tenta di attirare anche l'uomo in questa negazione. Ma in Mary non esiste tutto questo, Ryan stesso, il duro, le dice: "Lei non ha mai avuto paura in vita sua", ed è proprio il coraggio di questa ragazza costretta all'indagine sulla solitudine, alla sua non-negazione, che la mette in contatto con il poliziotto inasprito. Il contatto avviene col cuore, e Ryan deve rispondere a questa chiamata. Il dialogo continua:

Mary: E, mi dica, com'è fare il poliziotto?
Jim: Si arriva a non fidarsi più di nessuno.
Mary: E' fortunato. Lei non ha bisogno di fidarsi di qualcuno, io si' invece...Io mi devo fidare di tutti.

E' la prima volta che la situazione si pone sotto questa luce, e la vita di Ryan muta improvvisamente. Il contatto con la ragazza è tanto più autentico, quando lei prosegue:

Mary: Ha mai conosciuta una persona cieca prima?
Jim: No, mai.
Mary: Da come si è comportato, credevo di si'. Se no, mi avrebbe tolto il vassoio di mano e avrebbe servito il tè. Lei no. E quando parla con me, non sento pietà nella sua voce.

E' come se l'avesse sempre conosciuta, perchè l'incontro fra due solitudini rende possibile un contatto vero. Non ritengo possibile il contatto fra due persone che negano la propria solitudine con i metodi che ho già detti: sono solo contatti fra le barriere contro la vita. Due persone che hanno affrontato la solitudine, il contatto fra due persone del genere, rende possibile un contatto vero. In realtà la solitudine è un'illusione, il momento in cui si decide di fuggirla è il momento in cui si decide il proprio destino di persone inautentiche, e sole. Quando non la si sfugge più, allora all'improvviso la solitudine scompare, perchè non è mai esistita davvero. Ma solo le persone che si interrogano su di essa, possono arrivare a coglierne il senso.   

Questo film è semplicemente straordinario: un viaggio dalla dimenticanza di sè stessi, simboleggiata dall'ambientazione newyorkese, al ritrovamento di sè, simboleggiato dal paesino sperduto in montagna. Nessun simbolismo è forzato, Ray è un regista troppo in gamba per cadere nell'errore di dire: "questo significa questo, questo quest'altro, fate attenzione". Contenuto e simbolismo sono una cosa sola, per questo il film è cosi' potente. La forza emotiva della storia raccontata da Ray  mi convince sempre più che i migliori films sono quelli che conducono al minimo comun denominatore questa stessa essenza emotiva di una storia: quando si arriva alle motivazioni reali, alla verità di sè stessi, e si eliminano tutte le emozioni parassita, allora il film ha grande forza. Insomma, prima si dipinge un quadro cosi' come lo si vede abitualmente, e poi , improvvisamente, i veli cadono, e quello stesso quadro rivela la sua natura fino ad allora nascosta. Questo contatto con la verità dietro la facciata, questa rivelazione, è tra le cose che hanno il più grande potere terapeutico sull'uomo. Insomma, è come se la falsa visione intrappolasse la verità emotiva, la nostra stessa essenza, che all'improvviso si rivela, e proprio in quel momento, riusciamo a ricordare qualcosa che non sapevamo neppure di aver dimenticato. Arrivare a vedere veramente, non è questa una degna aspirazione?